venerdì 22 febbraio 2013

Una moda più etica e responsabile

La scenografica azione dimostrativa di Greenpeace al Castello Sforzesco ha aperto questa edizione della Milano Fashion Week puntando l’attenzione sull’eticità del settore e ponendo urgenti quesiti alle imprese della moda per accelerarne i processi di cambiamento. E oggi alla Biblioteca della Moda a Milano è stato presentato il libro L’impresa moda responsabile (Egea 2013, 30 euro) di Francesca Romana Rinaldi e Salvo Testa, docenti SDA Bocconi. Insieme ai due autori, Diego Valisi (Biblioteca della Moda), Brunello Cucinelli e Anna Adriani (illycaffè), hanno lanciato messaggi positivi sul cambiamento in atto, partito dal settore food, che sempre più coinvolgerà anche il sistema moda. Il libro, stimolato dall’esperienza del blog http://bio-fashion.blogspot.com creato nel 2010 da Francesca Rinaldi, intende sensibilizzare le aziende sulla scarsità delle risorse e sulla necessità di nuovi modelli manageriali che mettano al centro la persona e i valori etici. Sono ormai evidenti i danni provocati dall’industria all’ambiente, a partire dalla deforestazione in Amazzonia fino all’inquinamento dei fiumi in Cina. Un fenomeno purtroppo globale che mette a serio rischio la salute del pianeta. La moda, che ha le sue responsabilità, deve ragionare su parametri fondamentali quali eticità, estetica, economicità che devono interessare tutta la filiera. Oggi il concetto di stakeholder deve tenere conto, o riscoprire, attori come società, ambiente, media, arte e, cultura, territorio, norme e istituzioni. Il caso Illy, come spiegato da Anna Adriani, è un esempio di azienda virtuosa che si avvale di solide partnership di filiera con i fornitori locali, ovvero i coltivatori, e che crea valore ulteriore ad esempio nel sostenere l’arte. Brunello Cucinelli con il suo carisma ha raccontato la filosofia che spinge e motiva le sue azioni imprenditoriali. Una particolare attenzione alla dignità delle persone e una grande fiducia nell’onestà e nei valori morali sono elementi di successo anche economico. Non dobbiamo avere paura, ma riconoscere che siamo in crisi come esseri umani; possiamo ridare dignità al lavoro e a noi stessi perché le cose stanno cambiando.
Salvo Testa ha parlato di una diversa concezione dell’impresa che riguarda l’umanità nel suo complesso e di nuovi temi rilevanti anche nella moda che toccano il consumatore. Il profitto non può essere il fine ultimo ma è una condizione, la cultura morale dell’impresa è il vero punto di forza. E’ necessario contemperare tutti gli interessi, forgiarli per farli confluire in una solida base. Siamo di fronte dunque a una grande opportunità di rigenerazione del sistema moda. E la moda che è simbolica, emulata e media essa stessa, ha una responsabilità maggiore nel veicolare i messaggi. Anche questa è una grande opportunità da cogliere.
Silvia Massimino

lunedì 18 febbraio 2013

L’Italia riduce le emissioni di gas serra

Venerdì 15 febbraio è stato presentato alla stampa il "Dossier Kyoto 2013: L'Italia ha centrato il protocollo di Kyoto". Elaborato dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, il dossier traccia un bilancio del Protocollo, la cui storia si è conclusa con il periodo di verifica 2008-2012.

Secondo le stime della Fondazione nel 2012 le emissioni di gas serra dell'Italia si sono attestate attorno a 465/470 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (MtCO2eq), oltre 20 milioni in meno rispetto al 2011. Pur tenendo conto della crisi economica in atto, analizzando i dati degli ultimi 7-8 anni è evidente il netto miglioramento delle performance ambientali del sistema economico nazionale.
Per incrementare il proprio contributo alla lotta ai cambiamenti climatici e diventare protagonista della crescita della green economy in Europa e nel mondo, l'Italia dovrà allinearsi alle indicazioni della Roadmap 2050 presentata dalla Commissione europea. Obiettivi ambiziosi ma non impossibili.
Questi e molti altri i temi presenti nell'analisi della Fondazione sono disponibile sul sito www.fondazionesvilupposostenibile.org.

giovedì 14 febbraio 2013

Un maestro di cucina naturale


Alberto Di Pasqua al lavoro nella cucina della casa-giardino di Home Garden

In occasione di Home Garden (Macef, gennaio 2013) abbiamo conosciuto uno chef davvero speciale: Alberto Di Pasqua, simpatico, creativo e con un'autentica passione per la cucina naturale. Proprio come noi. L'occasione di questo incontro è stata appunto Home Garden, alla sua seconda edizione e di cui abbiamo seguito l'ufficio stampa: un’area dedicata al "giardino domestico" a cura dello Studio VG Crea, che oltre all'esposizione ha offerto due zone relax di grande attrattiva: un bosco con piante autoctone lombarde e biolaghetto creato dall'eco-designer Angelo Grassi e l’allestimento di una casa-giardino, specchio dell’attuale tendenza a dissolvere il confine fra interni ed esterni, nella quale la cucina era animata dalla presenza di Alberto, a renderla viva e accogliente con show cooking sfiziosi e salutari. Il programma prevedeva due fasce orarie per le dimostrazioni dello chef; ciononostante non vi era momento in cui Alberto non avesse visite! E così, tra pubblico, espositori e, ovviamente, noi di Change up! lo chef era sempre in buona e "interessata" compagnia: occasioni in cui, oltre agli assaggi prelibati, abbiamo potuto conoscere, e apprezzare, la persona, la sua storia e la sua professionalità.


La prima conoscenza con una buona cucina Alberto la fa nella cucina pugliese della nonna, che rappresenta per lui la "camera dei giochi", dove gusta, conosce, sperimenta: "La nostra tradizione è una cucina povera, contadina", ci racconta, "a base di cereali, verdure, legumi, ma che la nonna sapeva cucinare in un modo davvero gustoso". Egli impara così ad apprezzare fin da bambino un'alimentazione semplice ma curata, sana e saporita.
Dalla Puglia all'estero, una volta divenuto ragazzo studia e lavora fuori d'Italia - in Spagna e a Londra - nel settore alberghiero, dove ha la fortuna di conoscere direttamente il lavoro di grandi chef che stimolano ancora di più la sua passione. Sono gli anni dei corsi di specializzazione e delle collaborazioni con grandi professionisti. Siamo ancora nell’ambito della cucina tradizionale, benché fin da subito Alberto cerchi di uscire dall'omologazione dei preparati e dei prodotti di sintesi, alla ricerca di sapori più autentici.
Sei anni fa l'incontro decisivo per il vero cambio di rotta, quello con il dottor Gianfranco Beltrami, specializzato in medicina dello sport, cardiologia e fisiokinesiterapia, professore di fisiologia dello sport all’Università di Parma, autore di numerose pubblicazioni in ambito medico sportivo e da tempo interessato al rapporto fra radicali liberi e attività sportiva, antiossidanti e nutrizione. I risvolti scientifici dell'alimentazione sulla nostra salute che già interessavano Alberto diventano così oggetto di documentazione e studio approfonditi, stimolati dal rapporto con Beltrami. Egli si occupa della degustazione in occasione delle conferenze del dottore, permettendo al pubblico un'esperienza fondamentale: assaporare i piatti dello chef diventa infatti la prova che mangiare bene da un punto di vista della salute non è sinonimo di rinunce e sacrifici. Anzi, si scopre che affinando il palato lo si rende libero dalla dipendenza creata dai sapori del cibo artificiale e si torna ad apprezzare genuinità e semplicità; in una ricchezza di sfumature che la creatività e l’esperienza di Alberto permettono di unire in combinazioni sublimi, come la crema di zucca con aceto balsamico e scaglie di mandorle che ci è stata offerta a Home Garden... una delizia!
Livia Negri

lunedì 11 febbraio 2013

Industria e distribuzione verso la sostenibilità

Industria e distribuzione possono collaborare sulla strada della sostenibilità? Se ne è parlato il 7 febbraio all’incontro organizzato da Legambiente nella sede centrale della Banca Popolare di Milano.

L’incontro, moderato da Luigi Rubinelli, Direttore di Retail Watch, si è aperto con le parole di Rossella Moroni, Direttore di Legambiente, che ha auspicato il consolidamento di un ponte che permetta un incontro fra i diversi attori della filiera in modo che insieme possano scrivere un pezzo di green economy. Il verde ormai deve essere il comun denominatore di una società consapevole, non è un optional ma l’unica strada da percorrere. E anche in un momento di crisi come quello attuale si deve individuare l’opportunità di crescita e miglioramento, di innovazione di prodotto, servizio, processo attuando una reale critica nei confronti dei paradigmi tradizionali. Questa non è una crisi ciclica ma sistemica ed è quindi necessario che tutti i cittadini collaborino alla costruzione di un nuovo sistema.
Il mercato si sta trasformando: il consumatore acquista meno e più spesso per eliminare gli sprechi , sceglie maggiore qualità e torna alle preparazioni domestiche. La stessa idea consumistica di eccesso equivalente a benessere, status symbol, oggi anche in Italia perde di significato.
Uno dei problemi più urgenti resta ancora il packaging, eccessivo, poco smaltibile, non ecologico. Su questo fronte sono in atto progetti in collaborazione con le catene della grande distribuzione.
In tema di packaging è intervenuto Giuseppe Pastorino, Amministratore Delegato di Verallia che unisce le attività del Gruppo Saint-Gobain in questo settore, che ha illustrato le attività consolidate per ottimizzare il riciclo del vetro, materiale dalla lunga storia che già veniva riciclato in epoca pre-romana. L’azienda è inoltre impegnata nello sviluppo della filiera corta per ridurre i trasporti e ha reso gli stabilimenti intercambiabili in modo da soddisfare le esigenze dei mercati in continuo cambiamento.
Adolfo Valsecchi, Presidente di Mareblu ha tracciato lo sforzo nella direzione della sostenibilità dell’azienda. Un argomento delicato quello che riguarda la pesca. I mari oggi sono iper-sfruttati e molte specie sono a rischio estinzione, fra queste anche alcune specie di tonno. Un problema di non facile soluzione, considerando anche, come Valsecchi ha confermato, l’aumento della domanda da parte dei Paesi emergenti.
Giorgio Santambrogio, Direttore Generale di Interdis ha ammesso che la sostenibilità nella grande distribuzione non rappresenta ancora un vantaggio competitivo. Tuttavia sono in aumento le iniziative in questa direzione che promuovono anche il commercio equo-solidale e attività di sostegno ad Associazioni per divulgare i valori della solidarietà, del turismo responsabile e del rispetto dell’ambiente.
Un caso embematico è quello della birra Carlsberg che dal 2011 ha adottato un nuovo sistema di spillatura con fusti in PET riciclabile che non necessitano di anidride carbonica aggiunta. Un esempio di impegno nella ricerca verso soluzioni innovative nel segno della sostenibilità.
Importante la testimonianza di catene gdo come Coop, Conad e Unes che, in misura diversa, si sono orientate verso lo sviluppo della sostenibilità. Claudio Mazzini di Coop sostiene che la sostenibilità deve entrare nelle leve di governance delle aziende anche attraverso criteri come la scelta dei fornitori e ascoltando gli stakeholder. Il consumatore oggi è più consapevole e i dati lo dimostrano: la linea ViviVerde nel 2012 è cresciuta del 10% così come sono in aumento le vendite alla spina.
La maggiore attenzione e consapevolezza del consumatore è stata confermata anche da Antonio Longo, Presidente del Movimento Difesa del Cittadino. Il consumatore è l’anello forte della filiera e la sua spesa è sempre più consapevole. La scelta si basa oggi soprattutto sul prezzo e sulla qualità. La grande distribuzione non ha ancora raggiunto risultati soddisfacenti nella sua offerta di prodotti sostenibili e si individua una carenza nella comunicazione. Quest’ultimo è risultato essere uno degli aspetti su cui lavorare maggiormente. Tutti gli interventi infatti hanno fatto emergere la debolezza della comunicazione dei valori dei prodotti, delle scelte sostenibili ed ecocompatibili delle aziende.  Il consumatore infatti fa ancora fatica a orientarsi fra le proposte e a percepirne il valore aggiunto.
In un’epoca di grandi cambiamenti in cui si assiste alla contrazione dei consumi dovuta alla minore capacità di spesa dei consumatori, sta emergendo un nuovo orientamento verso la qualità piuttosto che la quantità. Si può dunque ipotizzare che le aziende dovranno modificare i paradigmi tradizionali. In particolar modo le aziende che vivono sui grandi volumi che consentono di calmierare i prezzi proprio in virtù della quantità e su una distribuzione diffusa, riusciranno a rispondere al contraccolpo del calo dei consumi o dovranno ripensare la loro struttura e quali effetti ci saranno sull’occupazione?
Silvia Massimino