venerdì 21 ottobre 2011

Niger: i danni ambientali causati dalla Shell

Dopo l'indennizzo di oltre 11 milioni di euro che la Shell ha dovuto pagare nel 2009 per l'inquinamento e il degrado ambientale provocati nel delta del Niger, arriva un nuovo rapporto dell'Unep, l’agenzia ONU per l’ambiente, reso pubblico lo scorso agosto, sui danni arrecati all’ecosistema dalla Shell, molto più gravi di quanto previsto: il recupero ecologico del territorio richiederà tra i  25 e i 30 anni e un investimento economico decisamente maggiore di quello pattuito.
I danni ambientali sono causati soprattutto dalle perdite degli oleodotti e dal gas flaring, una tecnica che consiste nel bruciare a cielo aperto il gas naturale che viene in superficie con l’estrazione del greggio. Il gas flaring provoca enormi danni ambientali e non riguarda solo la Shell: è praticato anche da altre compagnie petrolifere che operano nella regione, tra cui il gruppo Eni. Sono inoltre minacciate dalla contaminazione ampie superfici di terreno e l’acqua “potabile” di cui fanno uso almeno 10 comunità Ogoni è contaminata da alte percentuali di idrocarburi, mentre in un villaggio l’acqua dei pozzi è inquinata dal benzene. Le consistenti perdite dagli oleodotti hanno gravemente compromesso il ciclo vegetativo delle mangrovie, le cui radici costituiscono a loro volta l’ambiente necessario per la riproduzione di molte specie ittiche. Se la bonifica di porzioni isolate di terreno potrà essere portata a termine entro cinque anni, per le zone acquitrinose popolate di mangrovie la previsione è di 30 anni.
Achim Steiner, direttore della Unep, oltre a esortare un intervento immediato e consistente, ha proposto soluzioni innovative e lungimiranti, come la costituzione nella regione Ogoni di un Centro di ricerca per il recupero ambientale, in modo che il ripristino e la salvaguardia dell’ecosistema del delta del Niger possano essere gestiti in futuro dalla stessa popolazione locale.
Fonte: tuttogreen.it

martedì 18 ottobre 2011

Sustainability - Il fotovoltaico del futuro

L’Unione europea ha accordato un finanziamento da 1,2 milioni di euro, legato al programma “Erc starting grant”, al progetto della ricercatrice italiana Paola Ceroni dell’Università di Bologna, che ha sviluppato un modello di celle fotovoltaiche combinando due materiali hi-tech, ovvero nanocristalli di silicio e dendrimeri.
I dendrimeri sono in grado di catturare l’energia solare e trasformarla quasi totalmente (per l’80%) in energia: fissando a ogni nanocristallo più dendrimeri si potrebbe così migliorare l’efficienza delle celle solari, sfruttando al massimo le proprietà dei due materiali, come riferisce una nota del Ministère des Affaires étrangères et européennes.
Il lavoro della ricercatrice italiana, prosegue la nota, ha dato vita a un prodotto non solo poco costoso ma anche esente dall’utilizzo di materiali potenzialmente tossici. In effetti, i nanocristalli di silicio, a differenza delle foglie di silicio oggi utilizzate, sono assai minuscoli e conducono meglio l’elettricità. I dendrimeri, grosse molecole di forma arborea, hanno la capacità di catturare l’energia solare e di trasformarla con una resa dell’80% in elettricità. Così, fissando più dendrimeri a ciascun nanocristallo, la scienziata dell’Ateneo italiano conta di migliorare l’efficienza delle celle fotovoltaiche, sfruttando al massimo le proprietà dei due materiali.
Fonte: http://sorgenia.wordpress.com/2011/10/18/ricercatrice-italiana-pensa-il-fotovoltaico-del-futuro/?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+EfficienzaESostenibilit+%28EcoPensiero+-+efficienza+e+sostenibilit%C3%A0%29&utm_content=FaceBook

sabato 15 ottobre 2011

ANIMALI – GREEN HILL, UNA BATTAGLIA DI CIVILTA’

Ci sono cinque ragazzi che da venerdì 14 ottobre stazionano sul tetto del capannone numero1 di Green Hill con uno striscione che recita “ Questo lager deve chiudere”. Insieme a loro, nei pressi del capannone dove è stato organizzato dal Comitato Fermare Green Hill un presidio autorizzato , ci sono tante persone che hanno raccolto l’invito in difesa di questa battaglia (http://www.fermaregreenhill.net/).

Per chi non lo sapesse il “romantico” nome Green Hill è quello di una società che “produce” cani beagle da vendere ai laboratori di sperimentazione animale o più brutalmente vivisezione. La filiale italiana si trova a Montichiari (Bs) e dal capannone numero1 partono i cuccioli destinati ai laboratori. Sono cuccioli di beagle con l’unica colpa di essere appunto cani beagle, particolarmente “adatti” alla sperimentazione. Esseri viventi strappati alle loro madri senza un minimo di compassione.
A Green Hill sono detenuti oltre 2.700 beagle e ogni mese 250 cuccioli partono per un viaggio senza ritorno verso i laboratori di tutta Europa.
Una vergogna per qualsiasi Paese che si ritenga civile. Una macchia sulla coscienza di tutti noi. Proviamo solo per un attimo a immaginare cosa voglia dire trovarsi in una gabbia senza sapere perché, essere caricati su un camion e portati in una stiva di aeroplano per poi giungere alla destinazione finale. E purtroppo non morire subito ma dovere subire torture, terrore, dolore fisico e morale, senza nemmeno avere potuto vivere la propria esistenza da beaggle. Nessuno ha il diritto di infliggere tanta crudeltà a un altro essere vivente.

E le istituzioni dove sono? Il Sindaco della città di Monticchiari, Elena Zanola, liquida la faccenda sostenendo che "l'allevamento rispetta la normativa vigente, quindi l'amministrazione comunale non ha alcuna facoltà di chiuderlo come chiede il comitato". Ma quale norma vigente? Quella di lucrare sul dolore di esseri indifesi? Viene da chiedersi. Renzo Bossi lo scorso maggio, dopo una protesta che portò a Montichiari migliaia di persone, ha presentato un progetto di legge volto a limitare, se non addirittura ad azzerare, l'attività di Green Hill, ma conoscendo le lungaggini e le priorità della politica ad oggi nulla ancora è stato fatto.
E i media? La notizia comincia a essere seguita, soprattutto a livello locale ma anche da alcuni giornalisti illuminati (Qui Brescia, Corriere del Ticino, Newnotizie, GeaPress, Giornale di Brescia, Brescia Oggi, Radio Lombardia, TG1, AdnKronos e Il Giorno). Le battaglie di civiltà devono essere sostenute in primis dai medi. Purtroppo i diritti degli animali, nonostante negli ultimi anni siano diventati più "notiziabili" non conquistano ancora le prime pagine. C'è ancora tanta strada da fare verso una “civiltà dell’empatia”, come auspica Jeremy Rifkin, economista e studioso statunitense. Ma nonostante tutto e con il dolore del pensiero che prima di chiudere questo lager tanti cani dovranno ancora soffrire, molte persone continuano a combattere per garantire il diritto alla vita di ogni creatura e nessuno le potrà fermare. Finché diventerà la battaglia di tutti.

martedì 4 ottobre 2011

The Vegetarian Week

L'1 ottobre è stata inaugurata la Settimana Vegetariana Mondiale (fino al 7), evento internazionale per sensibilizzare su una scelta alimentare - e uno stile di vita - che possono cambiare le sorti del nostro pianeta, con effetti positivi sulla salute e sull'ambiente, nel pieno rispetto degli animali. La Vegetarian Week è inoltre un momento di festa per i circa 6 milioni di vegetariani in Italia (dati Eurispes), sempre in aumento. Tanti i miglioramenti all’ecosistema che deriverebbero da una dieta vegetariana. Basti pensare che da un’indagine Unep, Programma delle Nazioni Unite sull'Inquinamento, del giugno 2011, emerge che il 18% delle emissioni di Co2 nell'atmosfera derivano dalla fermentazione dei mangimi all'interno dell'intestino degli animali allevati dall'uomo. Così Leonardo Pinelli, vicepresidente della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana: "Il fatto di mangiare carne causa inquinamento in misura addirittura maggiore di quanto non faccia, ad esempio, il trasporto su gomma in tutto il mondo".  Alle motivazioni  ambientali e di salute si aggiunga l'importanza di una scelta di rispetto verso gli animali, oggi sottoposti alle violenze degli allevamenti intensivi.