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sabato 11 gennaio 2014

Content is the King. Sustainability is the Queen


Con la nascita del web 2.0 i contenuti hanno iniziato a diventare sempre più importanti e, stando alla  diffusione dei social, sono ormai fondamentali. “Content is the king” è il presupposto perché i messaggi siano letti, apprezzati, diffusi, condivisi, viralizzati. Un panorama ideale per chi si occupa di sostenibilità, anzi per chi fa della sostenibilità il suo vessillo, la ragione stessa del suo essere imprenditore. Non soltanto per grandi aziende, ma anche per le tante virtuose medie aziende italiane, che possono vantare progetti tecnologicamente avanzati e meritevoli di attenzione e interesse. E che quindi vanno a nozze con il “re”. La sostenibilità è infatti regina di contenuti di valore che, se comunicati correttamente, possono fornire informazioni utilissime a stakeholder e shareholder di un’azienda. Ci sono realtà che per arrivare a realizzare un prodotto sostenibile, ossia a ridotto impatto ambientale, o che addirittura propone soluzioni (in termini di energia, rifiuti, scarti, sfruttamento suolo o animali umani e non…) hanno alle spalle anni di ricerca e quindi un sapere prezioso da condividere. L’utilizzatore finale del prodotto/servizio avrebbe a disposizione molte informazioni per muoversi con maggiore consapevolezza nelle sue scelte, apprezzare maggiormente i prodotti autenticamente eco-friendly, approfondire le sue conoscenze al di là di slogan o parole ormai fin troppo abusate (green, naturale ecc.). Le persone alle quali si rivolgono queste aziende  (n.d.r. si abolisce volutamente la parola “consumatori”) sono molto interessate a sapere e anche molto attive in genere a divulgare le acquisite conoscenze; diventerebbero così “naturali” trendsetter e testimonial con un interesse esclusivamente etico. La circolazione di informazioni, inoltre, aiuterebbe a individuare con maggiore facilità materie e filiere sostenibili e ad accelerare un processo di networking fra possibili partner, agevolando anche i rapporti B2B. Dispiace, a chi lavora da anni nella comunicazione e sui temi ambientali, vedere che molte aziende devono la loro presenza sui social perché “ormai non se ne può fare a meno” e perché “ci sono tutti”, senza però utilizzarli in modo adeguato (a volte l’utilizzo è addirittura scorretto, con pochi post esclusivamente autoreferenziali o promozionali). I cambiamenti economici, politici, sociali e culturali cui stiamo assistendo davanti alla crisi del nostro vecchio mondo e alle trasformazioni in atto portano inevitabilmente a un’evoluzione e a una trasformazione delle vecchie professionalità e oggi il comunicatore deve rispondere a nuove esigenze, così come le aziende devono uscire dalla tradizionale concezione di comunicazione brand. Oggi per comunicare correttamente e, di conseguenza, efficacemente, si deve avere una preparazione approfondita della materia e unire il  giornalismo di vecchio stampo (per intenderci quello del segugio capace scrivere in modo chiaro, fruibile, coinvolgente…) con le regole di SEO e ottimizzazione, lavorando in sinergia con i social manager. Solo così è possibile creare piani editoriali efficaci su obiettivi precisi e far sì che una voce di spesa (la comunicazione) per un’azienda diventi un investimento. Altrimenti si tratta di risorse e tempo buttato. Le aziende della sostenibiltà hanno grandi opportunità nella comunicazione social e digitale (che tra l’altro non ha i costi di una pubblicità cartacea!), proprio in virtù dei loro contenuti. Che, ci teniamo a sottolinearlo, necessitano di conoscenze specifiche del settore, altrimenti è alto il rischio di incoerenze (e ormai sappiamo che - giustamente - il “popolo del web” non perdona). Care aziende attive e impegnate nella sotenibilità, fate raccontare - da chi lo sa fare - le vostre storie, le ricerche, le scoperte, anche le fatiche verso questa nuova strada e troverete non soltanto “fan”, ma anche sostenitori e compagni di strada. Che aspettate?
Livia Negri, co-fondatrice Change up!

giovedì 6 giugno 2013

We green blogger: quale professionalità?

"Passione, professionalità, competenza": le chiavi del successo per un blogger. Parola di Marinella Scarico, green geek girl e blogger, fra gli ospiti dell'incontro organizzato da Bioecogeo a Palazzo Giureconsulti il 30 maggio scorso: "We Green Blogger. Storie digitali dal gusto ambientale", parte del programma del convegno dedicato alle opportunità professionali per i giovani nell'ambito della green economy. Moderata dal giornalista ecologico Emanuele Bompan, mandata in streaming e seguita su twitter con l'hashtag #wegreenblogger, la tavola rotonda ha visto quattro relatori raccontare i loro percorsi e identificare le specificità del giornalismo on line: Marinella Scarico, il giornalista Marco Fossi, la sociologa ambientale ed eco-blogger di ecospiragli Anna Simone, il giornalista e blogger per l'ambiente Peppe Crocein collegamento skype. Con l'intervento del vice direttore di Legambiente Andrea Poggio, che ha illustrato le possibilità di partecipazione dei cittadini ai cambiamenti degli stili di vita grazie anche alle web community, come dimostra il progetto degli ecoquartieri promosso dallo stesso Poggio. Una testimonianza che ci porta alla questione posta in sala da Fossi "come può un blog cambiare il mondo?" Lo stesso Fossi ha riportato l'esperimento di Tribewanted: nel 2006 un ragazzo inglese scrive una mail in cui dice di voler colonizzare un'isola deserta. Gli rispondono in 250 e l'impresa parte. L'esperimento viene replicato nel 2008 e oggi c'è una comunità di eco-turismo in Sierra Leone. Un chiaro esempio di community on line che si traduce in una community off line: da piattaforma digitale a progetti realizzati. "A dimostrazione del fatto che una buona idea - afferma Fossi - "se ben costruita, può cambiare la realtà, anche in una situazione geografica critica". Ne emerge la prima caratteristica della comunicazione web 2.0: la circolarità, che significa coinvolgimento e partecipazione. Cosa significa per chi fa informazione attraverso un blog? Ad esempio che deve rispondere a ogni lettore, anche in caso di critica negativa: "si deve avere il coraggio di moderare", come dice Croce. Il coinvolgimento, anzi, è fra gli obiettivi di chi usa i mezzi digitali. Perché un blog è sempre integrato con i social network, che devono essere costantemente monitorati; anche per sapere quanto si è riusciti a diffondere la notizia, quanta partecipazione si è stimolata, quanta community si è riusciti a creare... e allora sarà importante acquisire sempre più autorevolezza. E questa viene dall'attendibilità dei contenuti: selezione e verifica delle fonti, oltre a competenza del settore di cui si parla. Certo, sono regole che valgono anche per la carta stampata, ma nel web diventano fondamentali a causa dei tempi serrati in cui avviene l'interazione autore-lettore e della velocità di diffusione della rete, che se non ritiene serio e corretto un comportamento può danneggiare la reputation in un lampo. Altre regole da non dimenticare, suggerite da Fossi: sapere a chi ci si rivolge, analizzare i risultati, utilizzare lo smartphone. L'analisi dei risultati ottenuti è utile, tra l'altro, per poter monetarizzare il blog attraverso la vendita di pubblicità. 

Per chi il blog lo apre come professionista dell'informazione la questione non è da poco: in quanto lavoro intellettuale, come fare affinché sia riconosciuto e quindi remunerato? Non dimentichiamoci che il blog è una testata e che non è così ovvia la diffusione di informazioni gratuita, come il web ci ha portato a credere. Per i blogger però è anche una questione delicata: come rimanere liberi e trasparenti accogliendo la pubblicità sulla propria testata? Si può, anzi, secondo Peppe Croce è auspicabile, attraverso un cambiamento del concetto di pubblicità, che deve anch'essa informare: "Deve cambiare il rapporto tra l'inserzionista e il blogger: l'inserzionista deve chiedere comunque un pezzo di informazione e il blogger può così aiutare l'azienda a veicolare determinate informazioni che sono di interesse per il pubblico." Ma c'è anche chi, come Scarico e Simone, sceglie un'altra via: il blog come trampolino di lancio, uno strumento per dimostrare le proprie competenze e capacità e avere contatti che portano lavoro, dall'attività giornalistica per altre testate agli incarichi di social media marketing da parte delle aziende. Queste ultime, se lavorano secondo principi di sostenibilità, avranno un vantaggio ad affidarsi a professionisti della comunicazione che ne condividono i valori e che conoscono il settore. In sintesi, comunque, tutti d'accordo nel difendere l'indipendenza dell'informazione, in quanto bene dell'intera società. E anche a lavorare in rete, perché mai come oggi la collaborazione fra persone unite da interessi e valori rafforza la multidisciplinarietà e la specializzazione richiesta dal mondo del lavoro. Ben vengano allora iniziative come quella di Bioecogeo, che ha creato un social network della sostenibilità ambientale, che vuole essere un luogo di incontro per aziende, associazioni, giornalisti, blogger e tutti coloro che vogliono trattare i temi ambientali: bioecogeonetwork.com
Livia Negri

giovedì 16 maggio 2013

Nasce un nuovo network dedicato alla sostenibilità


Change up! è stato alla terza edizione del Green Retail Forum che si è svolto mercoledì 15 maggio all’East End Studios di Milano, con la curiosità di saperne di più sulla nascita di un nuovo network dedicato alla sostenibilità: Green Retail Network. Partendo dal flusso di comunicazione, interazione e movimento che registra il  web 2.0, PlanetLife Economy Foundation (Plef) ha deciso di far confluire una parte di questo movimento sui temi della sostenibilità, creando un social per tutti i portatori di interessi che ruotano attorno al green retail. Chi vi accederà potrà condividere con la community i propri progetti, in qualsiasi fase essi siano (elaborazione, start up, avanzati, definiti) e gettare quindi un seme perché l’idea prenda forma oppure cresca, si sviluppi, evolva grazie all’interazione on e off line che si verrà a creare. Un progetto condiviso è idealmente di tutti e la sua identità potrebbe infatti modularsi grazie anche ai nuovi apporti della community. Obiettivo di Plef è quello di realizzare una coerenza sistemica, facilitare l’accessibilità e fruibilità ai temi green, agevolare un accesso sostenibile ai beni di consumo. In definitiva, sostenere la nascita del nuovo paradigma economico che la Fondazione promuove (la planomia). Sulla piattaforma web potranno convivere e dialogare istituzioni, enti, associazioni, insegne del retail, fornitori, consumatori. Il camp seguito alla presentazione del nuovo social ha confermato l’interesse da parte degli attori in campo: hanno dichiarato di ritrovarsi e riconoscersi nel progetto di Plef  M. Bordoli (CRAI), M. Gasbarrino (UNES), G. Bancher (e-co.Store Fase), R. Giordano (IKEA Italia), A. Tamburini (Coop. AEQUOS), V. Sevino (AMAT), P. Barzoni (PLAM), E. Burgin (AGENDA 21), P. Arnell (I BARTER), N. Corona (Legambiente). A tutti è stata chiesta la collocazione in tema di “verde”, ossia se si reputano “verdi” (incentrati su una visione di sostenibilità come risparmio), “più verdi” (se spinti da motivazioni etiche e culturali), “verdissimi” (se la loro mission è di innovare il sistema di consumo e il modello economico). Risultato: tutti verdi, ça va sans dire, e solo alcuni verdissimi ma con la consapevolezza di dover andare oltre, perché è evidente per tutti la necessità di avere una visione lungimirante che porti a un reale cambiamento. Tutti concordi, di conseguenza, nel vedere l’utilità di un social dedicato alla sostenibilità, che possa accelerare le connessioni e le opportunità per una sostenibilità a tutto tondo: economica, sociale, ambientale. Fra i progetti,  quello presentato dall’architetto Giacomo Bancher si colloca in modo trasversale nelle tre categorie, poiché partendo da necessità di ordine economico dettate dalla volontà di rilanciare un territorio, si muove per incentivare una cultura di cambiamento fra i vari shareholders, primo fra tutti il territorio stesso. e-co.Store Fase, questo il nome del progetto, sarà uno showroom in sharing per 600 aziende selezionate della sostenibilità con una forte vocazione educational imprescindibile dal profit. Un progetto del genere è naturale che si riconosca nelle modalità di comunicazione social, in quanto già per sua natura “sistema aggregativo”. Così Bancher: “Sul territorio (provincia di Bergamo, ndr) già operano realtà orientate alla sostenibilità, ma lo fanno a livello individuale e quindi con poca visibilità e poca incidenza. Fare sistema diventa imprescindibile per poter attuare un cambiamento di paradigma ed e-co.Store Fase, che recupera una realtà industriale, è un marker territoriale che si fa nuovo motore per la sostenibilità del fare impresa, in cui lavoro e cultura si integrano e si sostengono. Per passare dal marketing di prodotto al marketing di sistema e motivare le persone”. La sostenibilità è anche fare rete, ma ben oltre ai "mi piace". Non c'è che augurarsi che un social così specifico come Green Retail Network diventi uno strumento concreto per progetti ambiziosi - in termini di sostenibilità - come e-co.Store.
Livia Negri